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Un modo innovativo di fare riabilitazione nei luoghi di detenzione è stato la realizzazione di un ristorante aperto al pubblico, all’interno del carcere di Bollate, in cui vi lavorano uno chef e un maitre professionisti assistiti dagli stessi detenuti, uomini che, avendo scontato un terzo della pena, hanno diritto all’articolo 21 dell’Ordinamento Penitenziario e quindi a uscire fuori dal carcere per lavorare.

 

Il ristorante offre ai detenuti che sono regolarmente assunti, la possibilità di riappropriarsi o di apprendere una cultura lavorativa, un percorso formativo di responsabilizzazione mettendoli in contatto con la società civile e il mondo del lavoro. I detenuti lavorano con impegno e sono consapevoli della grande responsabilità di cui sono investiti: ossia riuscire a veicolare, complice il momento di convivialità dato dal cibo, un’idea diversa delle persone recluse. Nel momento stesso in cui un cliente di questo particolare ristorante affida la preparazione e il servizio di quello che mangia a persone pesantemente stigmatizzate, ecco che il muro, mentale, che li separa può crollare.

 


 

Inoltre i carcerati studenti possono svolgere presso il ristorante lo stage obbligatorio per il conseguimento del diploma alberghiero, grazie alla presenza della sezione carceraria dell’Istituto Alberghiero Paolo Frisi di Milano presente nella II Casa di Reclusione Milano Bollate.

 

Anche le istituzioni si sono rese conto dell’importanza del cibo come strumento di comunicazione e, infatti, anche in altri carceri si fanno sperimentazioni di questo tipo.

 

 

Prospettive

Massimo Parisi, direttore del carcere di Bollate ha affermato che l’obiettivo è quello di “costituire per chiunque un'opportunità di interfacciarsi con l'universo carcerario e di riflettere sul senso della pena”. Li abbiamo formati, come fosse un investimento per il futuro. E quando uno di loro, una volta libero, sarà assunto da un ristorante esterno per noi sarà una vittoria”.

 

Silvia Polleri, la responsabile della cooperativa Abc che ha lavorato alla realizzazione del progetto ha affermato: “Dobbiamo riflettere sul senso comune della pena e chiederci che cosa ci aspettiamo davvero da un carcere. Io mi aspetto che i detenuti, una volta usciti, non commettano altri reati”.

 

Il detenuto Giuseppe, di 23 anni, ma in prigione da sette ha dichiarato. «Sono contento ed emozionato. Questa è una soddisfazione anche per la mia famiglia, finalmente. Non mi sento giudicato e i clienti mi trattano da persona sociale».

 

Jim Yardley, corrispondente del New York Times, ha commenta “È difficile immaginare una storia di successo culinario così inconsueta o un esperimento di riabilitazione dei detenuti più intrigante”.

 

 

Approfondimenti:

http://www.ingalera.it/

http://www.corriere.it/cronache/15_ottobre_25/ingalera-ristorante-carcere-bollate-c03263b6-7b45-11e5-901f-d0ce9a6b55d1.shtml

 

 

 

 


 

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